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( votes)Si parte per Chernobyl alle 8 e 30 del mattino da Maidan, la Piazza simbolo delle lotte del popolo ucraino.
Il viaggio sulle strade dissestate ucraine dura un paio d’ore. Arriviamo in fretta al primo dei tre checkpoint. E’ vietato fare foto in questi punti, ma qualcuno decide ugualmente di provarci. Il problema è che lo fa senza togliere il flash!
Arriviamo dopo poco alla grande vasca di raffreddamento utilizzata dalla centrale fino al 2000 quando venne spento definitivamente il reattore numero 3. Da qui vedo per la prima volta l’intero complesso industriale di Chernobyl. Un’emozione unica. Non so spiegare il motivo, ma la storia di Chernobyl mi ha appassionato dalla prima volta che mi interessai all’argomento. Il 26 Aprile 1986 non ero ancora nato, non ho vissuto direttamente il divieto di vendita di latte, frutta e verdura in virtù dell’investimento della nostra penisola da parte della nube radioattiva conseguente all’incidente (dal 29 al 30 Aprile), ma è come se ci fossi stato.
Dopo questa breve sosta, proseguiamo. Nutriamo con delle briciole di pane dei pesci gatto lunghi un paio di metri (non perché mutanti, ma semplicemente perché privi di predatori) e poi, dopo qualche minuto siamo lì. A 300 metri dal reattore numero 4.
Con l’immaginazione cerco di tornare indietro nel tempo. Alla sera prima del disastro. Intorno alla centrale tutto doveva essere calmo, ma al tempo stesso c’era una febbrile attesa nel compiere quel dannato test responsabile della probabile morte di più di 4000 persone. A 3 km di distanza, nella cittadina di Prypiat, una popolazione giovanissima (l’età media era di 26 anni) e piena di speranze, si preparava ad una serata in uno dei locali o cinema. I bambini si preparavano ad andare a dormire: il giorno dopo la scuola li avrebbe aspettati.
Il suono del mio contatore Geiger mi fa tornare alla realtà: segna l’impressionante valore di 5,30 microSievert/ora (il limite di legge in Ucraina è di 0,30 microSievert/ora). Dopo il disastro, è stato frettolosamente costruito un sarcofago di cemento che limitasse la dispersione di elementi radioattivi nell’ambiente circostante. Oggi purtroppo questa protezione non è più sufficiente: sono molte le infiltrazioni d’acqua e la sua sicurezza è seriamente compromessa. Per far fronte a questa emergenza è in fase avanzata di costruzione un nuovo sarcofago che dovrebbe sostituire il vecchio nel 2017. La nuova struttura è immensa: alta 110 metri (17 metri più della Statua della Libertà), lunga 164 e larga 257 metri (la dimensione media di un campo da calcio è 105 x 68 metri). Il costo finale stimato per la struttura è un miliardo e mezzo di euro.
Dopo 10 minuti il nostro tempo è scaduto. Ci dobbiamo spostare e ci dirigiamo verso la cittadina di Prypiat. Costruita nel 1970 era un prototipo di città perfetta. C’era di tutto: il cinema, la pista di atletica, un centro congressi, la scuola. Una città giovane e dinamica popolata dai lavoratori dei 4 reattori della vicina centrale nucleare. Un dinamismo cancellato per sempre in una notte.
Camminiamo silenziosi tra gli alberi che d’estate mostrano una volta di più la rivincita della natura nei confronti dell’uomo. Le pesanti costruzioni sovietiche scricchiolano e vacillano sotto la forza delle radici. Si distinguono a fatica degli enormi condomini tra un ramo e l’altro. Una Natura che, sebbene con qualche acciacco, si è ripresa ciò che l’uomo le aveva sottratto. Un albero che nasce dal pavimento del centro congressi rappresenta proprio questo.
Arrivati alla scuola ci viene data la possibilità di girare liberamente. Salgo al terzo piano su dei gradini ormai consumati e pericolosi. Apro una porta ed entro in una classe. Per terra dei libri. Scorgo un volto familiare: è Mendeleev, il padre della tavola periodica. Attorno a me il silenzio: gli altri membri del gruppo sono rimasti ai piani più bassi. Un senso di profonda inquietudine mi pervade. Sono in una classe fantasma. I banchi ancora ordinati mi fanno ripensare a quei bambini che si stavano preparando per andare a dormire e che il giorno dopo avrebbero affrontato una verifica o un’interrogazione magari proprio in quest’aula. Di loro nella nostra memoria non rimane più nulla. Chi erano? Come stanno? Mi commuovo.
Il disagio nello stare da solo diventa insostenibile, decido di scendere. Usciamo dalla scuola e andiamo in quel luogo diventato il simbolo di Prypiat: il parco giochi con la sua ormai incofondibile ruota panoramica, mai inaugurata. Prima di abbandonare quest’area, ho il tempo di fare un’ultima riflessione. Per scongiurare una seconda (e più devastante) esplosione, sono molti gli uomini che hanno consciamente sacrificato la loro vita. A loro è dedicato un monumento che reca una targa con su scritto: “A coloro che salvarono il mondo”. Il senso del mio viaggio in questa zona è quello di rendere loro omaggio. Grazie al loro straordinario atto di eroismo, io, come tutti quelli della mia generazione, sono nato sano. Chernobyl, quindi, riassume in sé l’estremismo di cui sono capaci gli umani. La stupidità e la presunzione fanno da controaltare al coraggio e all’altruismo. La miseria umana ha incontrato il suo opposto.
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